Makaradwaj

Makaradwaj

Nella stanza sul retro, il makaradwaj, re delle spezie, troneggia solo su uno scaffale tutto per lui. E’ rimasto lì ad aspettare, con la certezza che un giorno sarei venuta da lui. Prima o poi. Giorni mesi anni. Non ha importanza per il makaradwaj, conquistatore del tempo.
Prendo in mano la lunga fiala sottile, la stringo fino a quando non si intiepidisce.
Makaradwaj sono qui come tu hai predetto, io Tilo il cui tempo sta per finire. Io Tilo pronta a infrangere l’ultima regola, la più sacra di tutte.
“Quale” chiede il makaradwaj.
Makaradwaj che già sai la risposta, perchè vuoi farmela pronunciare.
Ma la spezia aspetta in silenzio, finché…
Dammi la bellezza, makaradwaj, una bellezza quale non si è mai vista sulla terra. Una bellezza cento volte superiore a quanto lui immagina. Per una notte sola. La sua pelle ne sarà abbagliata, le sue dita ne porteranno il marchio per sempre. E così mai più starà con un’altra donna senza ricordare e rimpiangere.
La risata della spezia è bassa e profonda, ma non ostile.
“Ah, Tilo”.
So di far male a chiedere per me stessa. Non fingerò di pentirmi, non reciterò la parte di chi si vergogna. A testa alta riconosco e ammetto il mio desiderio, sta a te concederlo o negarlo.
“Lo desideri più di quanto ci hai desiderate sull’isola, il giorno in cui ti saresti gettata dagli scogli di granito se la Prima Madre ti avesse detto no?”
Spezie perchè dovete fare sempre paragoni. Ogni desiderio al mondo è diverso dagli altri, come è diverso ogni amore. Tu, nato agli albori del tempo, dovresti saperlo assai meglio di me.
“Rispondi”.
Giudica tu stesso: a lui darò una notte, a voi tutto il resto della mia vita, qualsiasi cosa voi scegliate per me, cento anni sull’isola o un solo momento, conflagrazione e fiamme, nel fuoco di Shampati.
Mentre parlo svaniscono gli ultimi dubbi, le ultime speranze. Vedo il mio futuro con chiarezza nella fiala luminescente. Quello che non avrò mai. E accetto.
Tilo, l’amore umano, la vita normale degli uomini, non sono mai stati per te.
Ho dato una risposta soddisfacente. La spezia tace. Sento la fiala bollente tra le mani mentre il contenuto si scioglie. La porto alle labbra.
E lontana nel tempo, odo la voce dell’Antica: ” Il makaradwaj, la più potente delle spezie di trasformazione, va trattata con il massimo rispetto. Fare altrimenti può portare alla pazzia o alla morte. Qualunque sia il peso della persona cui va somministrata, dosatene un millesimo e mescolatelo con latte e frutti di amla. Il liquido deve poi essere assunto pian piano, un cucchiaino all’ora, per tre giorni e tre notti”.
Lo bevo d’un fiato, io che fra tre notti e tre giorni sarò chissà dove.
La violenza della pozione colpisce subito la gola, come un proiettile, scatenando un bruciore quale non ho mai provato prima. Il collo sta per esplodere, esofago e stomaco sono in fiamme. E la testa si espande e cresce, un gigantesco pallone aerostatico, poi si contrae in un nocciolo di ferro. Sono sdraiata a terra. La nausea esce da me a fiotti, con la violenza del sangue da un’arteria lacerata. Le dita si irrigidiscono e si tendono, le membra si contorcono e si divincolano al di là di ogni volontà e controllo.
Tilo troppo fiduciosa, credevi di poter assorbire il veleno come il Dio Shiva la cui gola si tinse di blu, hai messo tutto a repentaglio per niente, muori adesso.
“Per niente”. E’ questo il pensiero più duro da accettare.

 

Chiama ora